Maria Gabriella Sartori, psicologa - psicoterapeuta

 

 

 

>> torna a seminari

APPRENDIMENTO E GRUPPALITÁ


1. INDIVIDUO E SOCIETÁ
Uno dei problemi della Psicologia è stato di capire quale è il legame tra INDIVIDUO E SOCIETÁ. Si supponeva che l’essere umano è originalmente un essere isolato, non sociale, e che con fatica si relaziona con gli altri. Il problema era stabilire e ricercare come gli esseri umani entrano in rapporto, in relazione gli uni con gli altri; si pensò così ad un istinto gregario, - Mc Dougall- o ad una energia speciale, la libido.
L’antinomia individuo-società presuppone che gli esseri umani devono “sacrificare” la soddisfazione dei bisogni individuali, incompatibili con le norme sociali e la organizzazione culturale in generale. L’individuo “sacrifica” una parte di se per i bisogni dell’insieme.
In questa posizione si concepisce l’uomo come “cattivo” e la società come “buona”. Oppure inversamente, nella attuale psicologia nordamericana, nella quale il “establishment”, il “sistema”, viene condannato come “cattivo”, distruttivo per l’uomo, considerato adesso “buono”; si tratta così di salvare o l’uno o l’altro, senza però risolvere il problema. Questi dualismi sono superati nel nostro secolo. Le ricerche scientifiche, l’antropologia, ci hanno dimostrato che l’uomo è diventato tale perché dalle sue origini è un essere gregario, SOCIALE PER NATURA.
Con la produzione in comune dei suoi mezzi di sostentamento dei suoi strumenti di lavoro, dei suoi strumenti di comunicazione che è diventato uomo. E nel gruppo e attraverso il gruppo che si è costruita la storia umana: l’essere umano è così un essere sociale e storico per natura. I legami dell’uomo sono la base della sua produzione e della sua riproduzione.
Ogni essere umano nasce in un gruppo ed è un gruppo in sé stesso, essendo NEL GRUPPO che i bisogni dell’individuo si realizzano. Questa è la chiave del superamento dei dualismi e della antinomia INDIVIDUO - SOCIETÁ.
L’individuo non nasce come un essere isolato, che gradatamente si relaziona con il gruppo, e con il mondo. Perciò, non è che gli individui formano gruppi , ma i gruppi formano individui e nel migliore dei casi, PERSONE.
Nota: la famiglia è un’ organizzazione sincretica, che della simbiosi massiva globale, porta alla individualizzazione, e alla personificazione.
Il dualismo presente nella Psicoanalisi ai suoi inizi che comincia pure come PSICOLOGIA INDIVIDUALE, sarà presto superata da Freud stesso che dirà nel 1921, nella Psicologia delle masse: “La psicologia individuale è allo stesso tempo, Psicologia Sociale già che l’altro è sempre integrato nella vita psichica individuale, come modello, come oggetto, come amico, come aiuto o come nemico”. Un altro psicanalista, Bion, inglese, lavorerà con gruppi di soldati reduci dal fronte; durante la seconda guerra mondiale, sviluppando così la tecnica dei gruppi. E in Argentina, Enrique Pichon Riviere, mette le basi per il lavoro con il gruppo operativo, e insieme a Josè Bleger, sposa la Psichiatria Sociale con la Psicoanalisi e la Antropologia; permettendo lo sviluppo di una Psicologia Scientifica, lavorando con gruppi e istituzioni.
Nota: Questo sviluppo nella scienza è possibile per l’ascesa delle masse, e delle due guerre mondiali che richiedono e sollecitano le ricerche teorico-pratiche.

2. GRUPPO-ISTITUZIONI
Definiamo istituzione un insieme di norme, regole, attività organizzate intorno a valori e funzioni sociali. L’istituzione può essere definita come organizzazione nel senso di una disposizione gerarchica di funzioni dentro uno spazio limitato.
Se la società è una struttura globale includente, le istituzioni sono strutture incluse o intermedie che hanno un rapporto di interdipendenza e interinfluenza. Le istituzioni sono strutture intermedie incluse, create per svolgere una funzione specifica.
La famiglia è una istituzione ma anche un gruppo. Così la scuola, la chiesa, ecc…
Le istituzioni si creano con un obiettivo esplicito. Il rischio è che, nel tempo, l’obiettivo diviene di secondo piano, passando al primo piano la perpetuazione della organizzazione come tale. Questo pericolo è la burocratizzazione dove il mezzo -scuola- si trasforma in fine a se stesso. Anziché insegnare, in questo caso, la scuola ripete stereotipatamente le conoscenze: non c’è più apprendimento inteso come processo di cambiamento, si dissocia teoria-pratica, informazione e operazione, tra ciò che si dice e ciò che si fa.
Un altro pericolo sono i conflitti che si generano ai livelli inferiori.
Nell’istituzione famiglia, problemi tra genitori emergono come sintomi nei figli. Conflitti tra insegnanti si traducono in problemi con gli allievi. C’è un tra svasamento dei problemi. E dei conflitti dall’alto verso il basso.
Esempio: un bambino di dieci anni fa una imprevista broncopolmonite. Il suo medico di base e la sua madre, non si spiegano perché. Per 15 giorni non va a scuola. Questo bambino forma parte di una famiglia, composta di padre-madre e di un fratello di 20 anni , che in quel momento fa il servizio di leva. (vedi fig. 1)

Il bambino di dieci anni, esprime con il suo sintomo, l’angoscia del gruppo familiare, davanti alla perdita possibile del fratello, al qual è molto legato.
In questo modo, fatti in apparenza senza rapporto tra loro, si spiegano per il fenomeno dell’interinfluenza e interdipendenza delle strutture. (ved. Fig. 2)

In una comunità terapeutica, il conflitto ideologico tra il direttore (sacerdote) e il responsabile di sede (laico) provocò l’allontanamento di quest’ultimo. Nel gruppo degli utenti provocò una crisi depressiva, che comportò per ultimo, portando a più del 50% dei pazienti al letto per influenza.
Elliot Jacques, psicoanalista inglese prendendo come oggetto di studio le istituzioni, conclude che oltre ai fini espliciti, le stesse servono per difendersi dalle ansietà, dalle paure o angosce più temute e distruttive per i membri della stessa o nella società, per le persone. L’esempio classico è il vecchio ospedale psichiatrico, dove depositiamo la malattia mentale. Così permette a tutti di liberarsi della parte “folle”. La comunità per tossicodipendenti ci “libera” dalla dipendenza. L’istituzione “matrimonio” ci difende dal pericolo della solitudine, o per altri, di una sessualità “incontrollata” e perciò vissuta come pericolosa. Le istituzioni come deposito della sciabilità più primitiva, (sincretica) o delle ansietà psicotiche, ci spiega il perché della burocrazia e della resistenza al cambiamento. In questa, il cambiamento è temuto, considerato in pericolo. All’incontrario nelle istituzioni dove predomina la sciabilità più adulta a sana-sociabilità per interazione- il cambiamento viene accettato.

3. LA CLASSE COME GRUPPO.
Un gruppo è un insieme di persone con un compito comune. Cosa facciamo? E il compito, l’obiettivo che determina sia la esistenza che l’appartenenza al gruppo. Il gruppo può essere analizzato a due livelli:
a- come gruppo di apprendimento
b- come dinamica gruppale
Imparare significa cambiare, modificare il comportamento.
Quando si parla di apprendimento, emergono tre elementi:
a- informazione; b- stato emotivo; c- produzione;
L’apprendimento può essere meccanico, basato sulla ripetizione, (es. le tabelline), inteso come “gioco”, dove tutto è “facile”, oppure, come produttività, dove sia l’allievo che il maestro, sono coinvolti, partecipanti, nell’informazione, nella affettività trasformando ciò che è dato, in strumento di ricerca. Imparare non è solo assimilare l’informazione, ma anche saperla utilizzare.
Quando il maestro propone un compito alla classe, si evidenziano tre momenti o fasi, -successivi o no- :
I- Indiscriminazione o confusione
Questa fase, chiamata anche “pre-compito”: Gli obiettivi del gruppo sono confusi; non si sa bene che fare o cosa fare.
Tattiche, ruoli in gioco sono assai diffusi o indifferenziati.
I membri propongono e partecipano partendo da esperienze passate, individuali, e non di gruppo. In questo momento non c’è conoscenza di interazione, di finalità. Predomina la dipendenza del leader formale, (il maestro) nel quale viene depositata tutta la scienza e la potenza. Diventa onnisciente e onnipotente, e i membri del gruppo si aspettano che lui risolva tutti i problemi. Il leader formale idealizzato, esprime la paura del gruppo davanti al “non sapere”, al non avere gli strumenti.
Il maestro diventa un ”mago”, un “sacerdote” per il quale si sente un reverente timore e devozione . La conoscenza diventa una “religione”, soffocando così il pensiero indipendente e la ricerca. Se inibisce la crescita e da parte del gruppo c’è la paura della crescita e la negazione della capacità di imparare dell’esperienza. Nel gruppo di dipendenza, si crede che s’arriva ad essere adulti senza fatica, senza bisogno di studiare e di sviluppo.
(Es. Il ruolo del “più bravo della classe”, senza mai studiare)
Il gruppo di dipendenza dà sicurezza a tutti, però evita la crescita, le penosità e il dolore della crescita.
II- La seconda fase, di discriminazione e differenziazione.
Chiamata anche il “compito”. Si chiarificano i ruoli del coordinatore –leader formale- e dei membri. E’ necessario un tempo perché l’implicito diventi esplicito. Si capisce adesso il perché della riunione e il come fare. Si chiariscono ruoli e compiti, l’appartenenza al gruppo e la pertinenza rispetto al compito. Emergono resistenze al cambio. Adesso il nuovo s’intravede e perciò c’è la paura dell’attacco e la paura della perdita, riferita al bagaglio strumentale. Angoscia paranoide, perché ci sentiamo ancora senza lo strumento adeguato, la realtà così diventa pericolosa.
Angoscia depressiva, legata alla imminenza del cambio; il vecchio strumento deve essere lasciato, perché inadeguato alla attuale situazione. Appare così lo stereotipo, sia nel maestro che nell’allievo: è la difesa davanti al nuovo, affrontando così ognio compito nello stesso modo.
Anche lo stereotipo dà sicurezza, però distrugge l’apprendimento. Il gruppo non pensa. RIPETE. Quando è possibile l’apertura del pensiero?
Quando l’individuo può cambiare il proprio ruolo, variare le sue aspettative, adottare nuovi comportamenti. Superare le dipendenze. Anziché ripetere. CO PENSARE.

Le resistenze si manifestano con la divisione del gruppo in due sottogruppi:
1- il cospiratore con il suo leader, il sabotatore.
2- il sottogruppo del progresso, che si incarica di portare avanti il lavoro. Il maestro, intanto leader formale, le corrisponde chiarire questi due ruoli o sottogruppi, cercando di unirli e mostrarli come aspetti di un tutto.
Altrimenti il pericolo è la segregazione.
La stereotipia dei ruoli rappresenta un altro pericolo: lo stesso allievo fa sempre il “bastian contrario”.
Un altro invece fa sempre il “bravo- primo della classe”.
Un gruppo funziona bene quando la leadership è sopportata da tutti i membri, se non c’è rotazione, si arriva allo scontro tra sottogruppi. L’importanza del leader formale è di poter mostrare o evidenziare che il compito porta il gruppo a dividerli in sottogruppi. Si tratta di un momento di estrema tensione e ostilità che viene collocata sia nel maestro che nel sottogruppo sabotatore; tutto ciò indica che il gruppo è in processo di cambiamento. Il maestro deve poter sopportare l’aggressione e l’attacco grippale.
Questo ci porta al concetto di emergente o portavoce. Il portavoce, non solo parla per se stesso, sino che denuncia tutto il divenire del gruppo. Il portavoce parla in funzione di tutti, mostrando il qui e adesso del gruppo, unito alla storia del soggetto, mostrando le ansie e le necessità del gruppo intero.
Un membro del gruppo può farsi carico o depositario degli aspetti negativi o intimidatori del gruppo o del compito.
Ciò che il gruppo non tollera in se stesso, viene depositato nel capro espiatorio. Questo è un ruolo molto vicino a quello del leader naturale. Il leader naturale si fa carico dell’aspetto positivo del compito: appartenenza, pertinenza e cooperazione.
Il capro espiatorio, invece, si fa carico dell’aspetto negativo: la pattumiera. Ciò permette di riconoscere ciò che non si vuole. Il leader naturale esprime la ricerca dello sconosciuto; ancora non chiaro, invece il capro espiatorio esprime ciò che è conosciuto e non desiderato. Infine; il sabotatore è il rappresentante della resistenza al cambiamento.
La complementarietà dei ruoli, la cooperazione, permette ad un gruppo di essere operativo e produttivo. Invece la supplementarietà fa prevalere nel gruppo la competitività, che rende sterile il compito.
III- Il terzo momento, di sintesi, avviene quando il gruppo nel pieno del suo lavoro mette in ordine i sottotemi, comincia ad integrare: è il momento di produttività, di insight, di depressione. Il gruppo si rende conto adesso che il livello raggiunto è parte di un processo, e non un tutto in sé stesso. La spirale dialettica, dove un punto di arrivo è la base per una nuova partenza. La quantità si trasforma in qualità, si risolve l’ansietà ed è possibile la creatività e l’elaborazione di progetti. Si verifica l’unità tra IMPARARE E INSEGNARE; maestro e allievi imparano e insegnano insieme, in una continua e dialettica esperienza di apprendimento a spirale; dove in un clima di piena interazione, si scopre e si riscopre, s’impara e insegna RECIPROCAMENTE.
( Nel gruppo di dipendenza, il maestro non vuole imparare ne l’allievo).

4. COMUNICAZIONE NEL GRUPPO
La comunicazione che avviene tra i membri del gruppo è di tipo verbale o preverbale (attraverso i gesti, ecc…)
Consideriamo nella comunicazione non solo il contenuto del messaggio –l’aspetto più intellettuale, ma anche il “come” si dice, e “chi”dice. Questo si definisce METACOMUNICAZIONE.
Quando questi due aspetti entrano in contraddizione, si crea un malinteso nel gruppo e la comunicazione viene disturbata.

Esempio: In un gruppo psicoterapeutico, c’è R. il cui padre si suicida quando lui aveva 12 anni –in seguito alla perdita del lavoro ed una malattia. Qualche anno dopo viene a sapere come si era suicidato –per impiccagione- Comincia ad odiare la famiglia, particolarmente la madre e il fratello maggiore, che aveva preso il posto del padre. L’odio era “perché non gli era stato detto il modo nel quale si era suicidato”. “Solo a me non me lo hanno detto”. Perché?- Si domandava. Nello stesso gruppo c’è H.L. che racconta la morte di suo padre, accaduta quando aveva 12 anni, come R. In quel momento R. si strappa il vestito, -perché vecchio”. Quando gli indico il segnale di lutto lui mi risponde: “Anche senza parlare ho comunicato”.

Comunicazione pre-verbale. Poco tempo dopo, R. parla con sua madre. Nessuno della famiglia era stato informato della forma nella quale il padre si era suicidato. Risoluzione del malinteso. Dopo 12 anni!

Nel gruppo classe, mentre si lavora sul compito, si crea una rere di rapporti, ogni membro con l’altro, e ogni membro con il leader formale: uno per tutti, tutti per uno.
Questo tessuto psicosociale , questa rete di rapporti; la chiamiamo LEGAME, ed è la base dei rapporti interpersonali.
I legami sono possibili per un processo base della comunicazione umana: l’INDETIFICAZIONE, che permette mettersi nel posto dell’altro.
L’identificazione è di due tipi: introiettiva e proiettiva.
“Se io fossi lui”… può pensare un allievo nei confronti del maestro,-o di un altro allievo- farei così…(I.P.)
Nella identificazione proiettiva c’è distanza. Oppure “Io sono lui…” dove l’allievo è l’altro. La distanza è minore. Identificazione introiettiva.
Nell’identificazione, -introiettiva e proiettiva- ci sono intelletto, affetto, emozioni… Attraverso l’identificazione assumiamo ruoli. Più ruoli siamo in grado di assumere, più plastica è la personalità, e più ricca.
Salute mentale è anche PLASTICITA’ nei ruoli.
Questo processo d’identificazione e assunzione di ruoli comincia nella famiglia, prendendo come modello i genitori, fratelli ed altri familiari significativi. Sono i primi legami. L’identificazione è alla base della costruzione dell’identità. Del chi sono io.
Il gruppo classe prende importanza non solo come apprendimento intellettuale, ma anche come apprendimento di ruoli nuovi.
Mediante l’identificazione –con compagni- il ragazzo può trovare altri modelli di legame, che lo aiuteranno nella costruzione della sua identità.
Sono questi modelli, diversi del gruppo familiare, che gli permettono d’uscire dalla famiglia, contando sul supporto del gruppo. Modificando molte volte ruoli stereotipati, imparando altri nuovi che lo aiuteranno nella dolorosa e difficile ricerca dell’indipendenza, il principale compito dei giovani.
Il principale compito dei giovani è diventare autonomi.
Solo con l’autonomia, l’indipendenza emozionale e di pensiero potranno alla loro volta partecipare creativamente al rinnovamento sociale, che è, appunto, il COMPITO DI OGNI GENERAZIONE.

5. PER CONCLUDERE
Qual è il nostro compito come insegnante?
Insegnare? Educare? Formare?
Qual è la differenza?
Insegnare come accumulazione enciclopedica di conoscenze?
O insegnare a PENSARE dando strumenti che permettano di utilizzare il pensiero e la conoscenza?
Come aiutiamo i nostri allievi a superare:

-la dipendenza
-la paura del nuovo
-l’ostilità è l’aggressività in confronto del compito?
-Qual è il nostro modello d’allievo?
-Quali sono i nostri modelli di insegnanti?
-Quali sono i ruoli svalutati e quali i ruoli valorizzati?
-Perché?
-Come comunichiamo con gli allievi?
-Imparare dai nostri allievi: come? Come si fa ad imparare INSIEME?

BIBLIOGRAFIA

Bauleo Armando, Ideologia, Gruppo y Familia, Feltrinelli Milano, 1978

Bion, W.R., Experiencias en Grupos, Paidos, Buenos Aires, 1979

Bleger Josè, Riflessioni di Psicologia Sociale, manoscritto

Jacques Elliot, Los Sistemas Sociales como Defensa contra la Ansiedades Persecutoria y Depressiva, en Nuevas Direcciones en Psicoanalisis, Paidos, Buenos Aires, 1965

Pichon Riviere, E., Modello Pedagogico della Concezione Operativa di Gruppo, manoscritto

Pichon Riviere, E. Teoria del vinculo, Ed. Nueva Vision, Buenos Aires, 1992