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LO PSICOTERAPEUTA E I SUOI SISTEMI DI
RIFERIMENTO IMPLICITI ED ESPLICITI
1. PSICOANALISI E RELIGIONE
In una seduta della società psicoanalitica di Vienna (11 dicembre
1912) si scrive: "La legge è ciò che fa il padre. La
religione è ciò che il figlio riceve".
In un altro momento Freud scrive a un suo amico: "Educa tuo figlio
come un ebreo, solo così avrà la forza per far fronte alle
difficoltà della vita".
Religione - dal latino religio-onis - significa legame con la divinità,
intendendo per divinità ciò che genera, permette, la vita.
In un modello di riferimento sulla base della dipendenza i genitori fanno
i figli e la legge, e questi si sottomettono e la temono. Da un altro
punto di vista la frase attribuita a Petronio: "Primus in orbe timor
deus fecit" ("fu la paura per prima a creare gli dei nel mondo")
esprime implicitamente il bisogno di indipendenza, di responsabilità
e di crescita. Emergono due bisogni dell'uomo: il bisogno di protezione
che nasce dalla sua fragilità e implica la sua dipendenza motivata
dalla paura, e il bisogno di essere protagonista, attore e artefice della
propria vita, con le "proprie sole forze", cioé senza
l'aiuto degli dei.
Dalle sue origini il pensiero filosofico mette in evidenza questo duplice
significato che può avere una teoria: essere al servizio della
dominazione, la sottomissione e la riproduzione del modello sociale; o
coadiuvare al superamento della "legge del padre", della dipendenza,
essere al servizio della liberazione. In questo senso ci domandiamo se
l'attuale teoria psicoanalitica, con i suoi modelli di riferimento, è
al servizio della ripetizione del passato intanto un peso morto che si
trascina, anziché un modello di riferimento interno che aiuta a
creare nel presente e nel futuro.
La psicoanalisi si confronta con i grandi temi che hanno da sempre preoccupato
l'uomo: le sue origini, le origini del mondo, il senso della vita e della
morte; e i problemi a loro legati: la sessualità, i legami umani,
le crisi di cambiamento, i dilemmi della soppravvivenza, ecc.... Lo studio
ci ha portato ad accorgerci che la psicoanalisi risponde a queste domande
in forma idealista, riprendendo molte delle elaborazioni realizzate dalla
religione ebreo-greco-cristiana, a sua volta nutrita dai miti che gli
hanno dato origine.
2. SIGNIFICATO DEL MITO E DEL SIMBOLO
Ad ogni tappa della storia sociale ed evolutiva dell'uomo corrisponde
una forma particolare di conformazione e di espressione della coscienza
("Non è la coscienza che detemina la vita, sino la vita che
determina la coscienza"), così come la vita materiale, le
forme di produzione, determinano la coscienza (e l'inconscio), queste
a sua volta regolano e condizionano la vita in una dinamica pratica-teorica-pratica
a spirale dialettica.
Il mito, come lo ha documentato ampiamente Mircea Eliade, è la
forma più arcaica di conoscenza che cerca di spiegare l'origine
delle cose, della vita, della morte. È un elemento essenziale della
civilizzazione umana, una vera codificafione della saggezza pratica che
prende carattere religioso.
Il mito è una storia vera perchè la vita, la morte, l'origine
del mondo, sono li per essere spiegati. Le spiegazioni sono possibili
e dipendono dallo sviluppo delle forze produttive e della coscienza storica
che ne risulta.
Conoscere il mito è conoscere il segreto dell'origine delle cose,
non solo come si sono fatte, sino come ricrearele quando non ci sono.
Il mito, all'uguale del simbolo, rilega, mette insieme, unisce chi lo
condivide; come poi farà la religione e più tardi l'ideologia.
In quanto alla sua struttura, il mito ci mostra la condizione dell'uomo,
delle piante, degli animali, ci da una spiegazione alla vita, alla morte,
al lavoro, alla sessualità, alla pubertà, ci da la metodologia
per affrontare i momenti di passaggio, le regole di comportamento umano
e fissa le norme morali.
Perciò simboli e miti rivelano una situazione limite dell'uomo,
e sono queste situazioni limiti che permettono all'uomo di prendere coscienza
della situazione della sua posizione nel mondo.
All'interno del mito l'uomo si pensa come unità operativa facendo
parte di un insieme nel quale può trasformare e trasformarsi (unità
e lotta dei contrari).
3.LE ORIGINI: TERRA MADRE
Dopo circa due milioni di anni di umanizzazione, in un mondo crudele e
spietato, i Paleantropi lasciano ai loro eredi uno spichismo influenzato
dalla loro principale attività, un'attività cruenta: la
caccia.
Vivere della caccia , uccidere per vivere, versare il sangue dell'animale,
un sangue uguale al proprio, crea attraverso i millenni una solidarietà
tra l'uomo e l'animale: questo viene idealizzato e deificato, diventa
un dio, perché permette la vita.
L'uomo del Paleolitico (Homo Sapiens) è il nostro più vicino
antenato: vive della caccia, della pesca e del raccolto, è un nomade
che seguegli spostamenti e i movimenti della flora e della fauna. Gli
uomini del paleolitico utilizzano strumenti che, a differenza degli altri
animali, costruiscono: ciò implica un'attività mentale complessa,
immaginazione, anticipazione del pensiero sull'azione.
I suoi dei (totem) sono animali e vegetali perché la vita proviene
da loro: sono la base dell'evoluzione (spiegazione delle origini del clan)
e del sostentamento. Ci sono riti iniziatici per gli adolescenti (identificazione
con il totem.
Si pratica il cannibalismo come aspetto del desiderio di rinascita e continuità
della vita dopo la morte (simbolismo dell'Ultima Cena), un rito che genera
la paura dei morti ed è all'origine del culto dei morti e del rito
della sepoltura.
la morte viene intesa come un ritorno alla casa madre-terra-utero. Perché
l'utero è il principale mistero, il modello che struttura tuttti
i riti: la nascita del figlio è legata all'offerta del sangue della
donna, base di tutti i sacrifici rituali.
La cosmogonia, e epr conseguenza la società, si organizza intorno
alla donna (mito della "madre-terra" e matriarcato). Ciò
permette di capire l'importanza accordata alla luna (il ciclo lunare viene
analizzato e utilizzato ai fini pratici 15.000 anni prima della scoperta
dell'Agricoltura), integrata in un sistema con la donna, il movimento
delle acque, i ritmi della natura, la fertilità, la morte, la rinascita.
Il sacrificio della fanciulla (mito di Hainuwele in Nuova Guinea) favorisce
la nascita di piante e tuberi: una morte violenta che è morte creatrice
e assicura la presenza della dea nella vita degli umani: l'uomo è
rinascita della dea, espressione vivente del totem.
Il sacrificio sarà il tributo, il ringraziamento per la vita della
comunità, offrendo lo stesso che il gruppo prende: il sangue, la
linfa, cioé animali, vegetali, vite umane, sacrificando i bambini
e le fanciulle, il futuro della comunità, il meglio che si ha.
Il sacrificio è anche il prezzo del cambiamento: la vita implica
la morte in una opposizione di base.
Se il Dio è "ciò che si vive" (Dio = vita), uccidere
il dio-pianta, il dio-animale, genera tanto ringraziamento quanto rimorso.
Il "sacrificio" rituale è uno scambio con il dio; il
rimorso è invece espressione della colpa (per mangiare: etimologicamente
significa "mordere di nuovo") ed è lacoscienza di avere
fatto male e non il bene che era possibile.
Il mito e il simbolo uniscono l'individuo alla comunità: il mito
è la spiegazione che la comunità da alle sue condizioni
materiali di esistenza, e uno strumento per operare sulla materialità
del mondo, il significante non è espropriato, la comunità
è padrona delle sue proprie forze.
4.IL PADRE-CREATORE E IL PARADISO PERDUTO
Alla fine dell'ultimo periodo glaciale (circa 10.000 anni fa) il clima
si modifica e conseguentemente il paesaggio provocando le migrazioni della
flora e della fauna. L'ambiente meno arido e ostile favorisce gli insediamenti
in zone più fertili, vicino ai fiumi. Emerge progressivamente l'uomo
del neolitico che abbandona il nomadismo e inizia le attività che
rivoluzionano la sua esistenza: l'agricoltura e l'allevamento degli animali.
Questo passaggio sarà il significante del mito del paradiso perduto.
Il paradiso perduto porta alla scomparsa della comunità primitiva
e della libertà attribuita alla caccia. In relazione a questo il
lavoro agricolo viene vissuto come schiavitù (la mitologia ebrea
interpreta il lavoro come un castigo divino). Il paradiso perduto rappresenta
il passaggio dal paleolitico al neolitico, la fine della organizzazione
primitiva della società e del matriarcato, l'inizio dell'appropriazione
privata e del patriarcato.
Il mito di adamo, oltre a dare una interpretazione dell'origine dell'uomo
(sincretismo primitivo), ci offre la possibilità di vedere come
il mito serve allo stabilimento di un nuovo ordine sociale.
Adamo è il nome simbolico dell'uomo, simbolo che lega un significante
con un significato: adama è "la terra", la polvere, mentre
a vuol dire "soffio" e dam "sangue". Perciò
Adamo è la terra che diventa sangue e vita.
L'antico mito intuisce sia l'autogenerazione della vita sulla terra come
l'evoluzione della materia, dalla polvere delle stelle (la scienza attuale
stima che questo processo si realizza 15 miliardi di anni dopo il "Big-bang"),
sia la non differenziazione sessuale nelle prime forme di vita.
Vediamo inoltre come il primo mito viene usato per la produzione e la
riproduzione di una nuova gerarchia sociale, il patriarcato: è
il "Dio padre" che da la vita, e l'eredità al maschio.
La donna non interviene nella generazione dei figli, né nella distribuzione
della proprietà, è un'appendice dell'uomo che, inoltre,
viene colpevolizzata. Ad una intuizione scientifica viene sovrapposto
un contenuto politico-ideologico.
I nuovi miti contengono e integrano comunque gli antichi. La fertilità
della terra rimane solidale della fertilità della donna, ma subordinata
al nuovo ordine e alle scoperte legate al nuovo modo di produzione. per
millenni la "Madre Terra" si fecondò da sola, adesso
invece l'agricoltore, che produce il proprio cibo e deve pianificare tra
la semina e il raccolto con mesi in anticipo, sa di essere il seminatore
(del seme e del semen). Con l'aratro il lavoro agricolo è assimilato
all'atto sessuale e l'uomo partecipa attivamente alla fecondazione.
Mentre per il cacciatore l'atto di mangiare era fonte di rimorso per l'agricoltore
questo ha un simbolismo sessuale, l'alimento, come il seme, è assimilato
ed è fecondante.
Il seme che diventa pianta, negazione del seme, la pianta che muore divenendo
frutto in una nuova sintesi, negazione della negazione o sia affermazione
assoluta, sono alla base della dialettica. Nascita, morte, rinascita,
sono identificati con i ritmi della natura.
Il dualismo tra principi cosmogonici: giorno/notte, inverno/estate, vita/morte
e la lotta che subentra tra di loro come opposizione dei contrari per
trovare nuove sintesi confluiscono alla fine della stimolazione delle
forze creatrici della vita. "Le crisi che mettono in pericolo il
raccolto - siccità ,innondazioni, ecc... - saranno tradotte in
drammi mitologici: dei che muoiono e resuscitano".
Con l'agricoltura, i totem, gli antenati e in generale tutti gli dei vengono
subordinati ad un "dio supremo": il Dio Sole, anticipo del monoteismo
come dio padre.
5. DAL MITO ALLA "LEGGE DIVINA"
La complessità crescente delle società agricole, con la
loro divisione del lavoro, la nascita dello Stato, implica un nuovo ordinamento
delle proibizioni e leggi. Si codifica con la religione di Stato: la legge
è emanazione del dio supremo (vedere i 10 comandamenti) e il Re
è identificato come un suo discendente o il suo eletto. Il sapere
viene subordinato a fini politici.
Il sacro si origina dal capovolgimento della realtà, essendo la
sua proiezione e idealizzazione. Così come il mito ed il simbolo
uniscono significante e significato, base materia e idea, la "legge
divina" scinde, divide. Il significante separato dalla sua base materiale
diventa il Verbo creatore (Ptah degli egiziani, Jahvè degli ebrei).
L'uomo acquista una "anima", separata dal corpo e dalla sua
storicità, un inconscio eterno, atemporale e universale. Nella
realtà si muore, nell'aldilà si è immortali.
Le "idee" che esistono da sé soltanto hanno bisogno di
un "apparecchio" che le possa pensare. E infine, la storia stessa
è intesa come "sviluppo dell'Idea".
Non c'è più dialettica, soltanto un gioco di alternanza
fra la vita e la morte, il sacro e il profano, realtà idealizzata
e realtà persecutoria, che la mitologia greca riprende. Eros, prima
di diventare il dio dell'amore, esprimeva la lotta tra il Caos e il Cosmo
(la vita). La psicoanalisi riprende questo mito dandole il significato
di lotta tra Vita e Morte, Eros e Thanatos, infine come lotta tra Amore
e Odio.
6. VERSO L'INDIPENDENZA
Nella "Repubblica" Platone configura una società ideale,
governata dagli uomini più capaci, filosofi, uomini d'oro. La relazione
di disuguaglianza sulla quale si basa questa società, lo schiavismo,
non viene messa in questione. È "naturale" che il padrone
pensi e filosofi, intanto è nous - spirito, psiche, pensiero -
ed è così altrettanto naturale che lo schiavo, intanto soma
- corpo - lavori. La chiesa cattolica, secoli dopo, riprenderà
questo modello, e la "civiltà ideale" sarà la
civitas dei, nell'aldilà, mentre nella terra sono chiamati a governare
i più adatti: il clero con i Re "eletti da Dio".
Oggi per un pensatore o un lavoratore della salute non è facile
nè semplice liberarsi o semplicemente rendersi conto dei suoi legami
con l'ideologia dominante, sapere da che parte si trova nelle nuove configurazioni
della relazione amo-schiavo, se opera al servizio della sottomissione
o del superamento.
È necessario pensare ed ubicare la psicoanalisi, ripensare nelle
sue basi di conoscimento. Che posto occupa come parte delle scienze sociali?
Per chi lavora? Perchè si lavora?
Le tracce del processo di culturizzazione che, dal paleolitico medio e
passando per il neolitico, porta ai giorni nostri, sono impresse nell'uomo
del nostro millennio e nella società occidentale. La trasmissione
della memoria storica dell'umanità, sia attraverso il DNA e i geni,
sia attraverso la trasmissione del propriamente culturale, orale e scritta,
sia attraverso i meccanismi ed istituzioni di riproduzione del sistema,
dell'organizzazione sociale, confluisce a quest un'aurea di "naturalezza".
I miti, rielaborati sotto diverse forme, fanno ancora parte della nostra
"natura".
Cercando i suoi modelli nei miti, ma con le sue radici nella tradizione
ebreo-greco-cristiana, l'albero psicoanalitico si nutre di una mitologia
contraffatta, che ha perso il suo riferente con la realtà, idealizzata.
Sarà possibile l'elaborazione di una teoria psicoanalitica che
riveda le sue basi materiali, i suoi sistemi di riferimento, che sia fondata
nell'analisi della realtà e sia capace di ridare all'uomo una dimensione
protagonistica? In che modo una scienza disalienata permetterà
lo sviluppo di una pratica clinica che non abbia come obiettivo il riadattamento
dell'uomo alla società ma il suo potenziamento creativo?
Studio privato della dott.ssa Sartori
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
AA.VV., "Homo, viaggio nelle origini della storia",
Cataloghi Marsilia, Venezia, 1985
José Bleger, "Psicologia della conducta", Centro Editor
de A. Latina, Buenos Aires, 1969
S. Freud, "Obras Completas"
V. Grigorieff, "Mithologies du monde entier", Ed. Marabout,
Paris, 1987
Eliade Mircea, "Storia della credenze e delle idee religiose",
Sansoni Editori, Firenze, 1990. "Images e symboles", Gallimard,
Paris, 1980. "Aspets du mythe", Gallimard, Paris, 1971
Platon, "La Repubblica", Ediciones Ibericas, Madrid, 1959
S. Resnik, "El padre en el psicanalisis", dattiloscritto